Cos’è la P2?

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La loggia massonica Propaganda Due, più nota come P2, già appartenente al Grande Oriente d’Italia, è stata una loggia “coperta”, cioè segreta. È stata in seguito caratterizzata da fini di sovversione dell’assetto socio-politico-istituzionale italiano.
Questa circostanza, insieme alla caratteristica di riunire in segreto circa mille personalità di primo piano, principalmente della politica e dell’Amministrazione dello Stato italiano, suscitò uno dei più gravi scandali politici nella storia della Repubblica Italiana. La complessità e la vastità delle implicazioni del “caso P2” furono tali che ne scaturirono leggi speciali, emanate allo scopo di arginare le associazioni segrete, in attuazione dell’articolo 18 della Costituzione della Repubblica Italiana.
Origini

La loggia Propaganda massonica, come si chiamava in origine, fu istituita nel 1877 dal Gran maestro Giuseppe Mazzoni, ma fu Adriano Lemmi (Gran maestro dal 1885 al 1895) a darle prestigio, riunendo al suo interno deputati, senatori e banchieri del Regno d’Italia che, in ragione dei loro incarichi, erano costretti a lasciare le loro logge territoriali e stabilirsi a Roma.
Nel 1893 scoppiò lo scandalo della Banca Romana che mise alla luce gravi irregolarità amministrative commesse da numerosi banchieri italiani, molti dei quali legati alla loggia Propaganda. In seguito allo scandalo, questa venne ridimensionata e marginalizzata.
Dopo la prima guerra mondiale, il Gran Consiglio del Fascismo dichiarò l’incompatibilità tra fascismo e massoneria. Due anni dopo le leggi fasciste abolirono le libertà di stampa e di associazione, costringendo il Gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Domizio Torrigiani, a firmare il decreto di scioglimento di tutte le logge.
La Liberazione sancì la rinascita della loggia Propaganda, che prese il nome “Propaganda 2” per ragioni di numerazione delle logge italiane imposte dal Grande Oriente d’Italia e venne riorganizzata sotto l’influenza della massoneria americana.
La relazione della Commissione parlamentare sulla P2, firmata da Tina Anselmi, mette in luce la persona che mise in stretto legame la massoneria italiana e americana: il reverendo metodista Frank Gigliotti, già agente della sezione italiana dell’OSS, in seguito agente CIA e responsabile, tra gli altri, della riorganizzazione della mafia in Italia[1].
[modifica] La P2 e Licio Gelli

Licio Gelli ai tempi dell’esplosione del caso P2
Nel 1969 fu chiesto all’allora sconosciuto Licio Gelli (che era entrato nella massoneria solo nel 1965) di «operare per la unificazione delle varie comunità massoniche, secondo l’indirizzo ecumenico proprio della gran maestranza di Gamberini, che operava sia per la riunificazione con la comunione di Piazza del Gesù, sia per far cadere le preclusioni esistenti con il mondo cattolico» (dal testo della commissione Anselmi) e, un anno dopo, Lino Salvini (succeduto da poco a Giordano Gamberini come Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia) gli delegò la gestione della Loggia P2, conferendogli altresì la facoltà di iniziare nuovi iscritti, funzione che tradizionalmente fino ad allora era prerogativa solo del Gran Maestro e dei Maestri Venerabili o di chi aveva in passato ricoperto tali cariche. Durante l’ultimo periodo alla guida del GOI, Gamberini fece entrare nell’ordine numerosi militari che gli erano stati segnalati da Gelli.
Gelli, un piccolo imprenditore toscano che in passato si era schierato sia col fascismo (tanto da andare a combattere come volontario nella guerra civile spagnola e da essere poi agente di collegamento con i nazisti durante l’occupazione della Jugoslavia), sia con l’antifascismo (in particolare organizzò la fuga dei partigiani dal carcere delle Ville Sbertoli in collaborazione col partigiano Silvano Fedi), godeva anche di profonde aderenze presso la “corte” del generale argentino Juan Domingo Perón: una famosa fotografia lo ritrae alla Casa Rosada insieme al presidente ed a Giulio Andreotti.
Per ragioni mai del tutto chiarite, la carriera di Licio Gelli all’interno della loggia P2 fu rapidissima. Una volta preso il potere al vertice della Loggia, la trasformò in un punto di raccolta di imprenditori e funzionari statali di ogni livello (fra quelli alti), con una particolare predilezione per gli ambienti militari.
Nel 1970 Licio Gelli e la P2 presero parte al Golpe Borghese, come descritto nel dossier del SID consegnato incompleto da Andreotti nel 1974 alla magistratura romana e reso pubblico nella versione integrale solo nel 1991; le parti cancellate (omesse perché, a detta di Andreotti, avrebbero causato un terremoto politico per via dei nomi implicati) includevano il nome di Giovanni Torrisi, successivamente Capo di Stato Maggiore della Difesa tra il 1980 e il 1981, e i nomi e la compartecipazione della P2 e di Licio Gelli, che si sarebbe dovuto occupare del rapimento dell’allora presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.
Il 19 giugno 1971 Salvini pose di fatto Gelli a capo della loggia P2, inizialmente con la carica di “segretario organizzativo”. Sempre nel 1971, Salvini decise la fondazione di un’altra loggia coperta, la loggia P1, che doveva essere più elitaria e selettiva della loggia P2 e limitata a persone che fossero impiegate nella gestione dello stato, in cui Gelli dopo poco tempo ricoprì il ruolo di Primo Sorvegliante.
Nel 1973, come nei progetti del precedente Gran maestro Gamberini, si riunificarono le due famiglie massoniche di “Palazzo Giustiniani” e quella di “Piazza del Gesù” (quest’ultima nata da una scissione negli anni sessanta avvenuta nella Serenissima Gran Loggia d’Italia), guidata da Francesco Bellantonio, ex funzionario dell’ENI e parente di Michele Sindona.
Come conseguenza di questa riunificazione (che ebbe vita breve, solo 2 anni) la loggia Giustizia e Libertà – loggia “coperta” e quindi anch’essa segreta facente parte del gruppo massonico di “Piazza del Gesù”, che contava tra i suoi iscritti politici di tutti gli schieramenti, militari, banchieri (per un breve periodo ne avevano fatto parte personaggi legati al Piano Solo, come il generale Giovanni De Lorenzo e il senatore Cesare Merzagora e risultava iscritto anche Enrico Cuccia) – vide molti dei suoi iscritti passare alla P2.
La commissione parlamentare scoprì, nelle sue indagini e tramite le dichiarazioni rese da diversi massoni, che negli anni vi furono diversi tentativi di ridurre il potere di Gelli all’interno della massoneria, tutti senza esito.
Nel dicembre 1974, al culmine della strategia della tensione, diversi magistrati iniziarono ad occuparsi del “gruppo di Gelli”. I Maestri Venerabili riuniti nella Gran Loggia di Napoli decretarono lo scioglimento della Loggia P2, ma la decisione rimase quasi senza conseguenze. In base ai documenti esaminati dalla commissione Anselmi, in quel periodo il gran Maestro Salvini confidò ad un confratello di essere stato informato da Gelli sull’eventualità di possibili soluzioni politiche di tipo autoritario.
In conseguenza della votazione dell’anno precedente si ebbero forti contrasti tra Gelli e Salvini e il primo, in occasione di un’assemblea tenutasi nel marzo 1975, produsse prove (secondo alcune ricostruzioni giornalistiche falsi creati appositamente) su presunti reati finanziari compiuti dal gran maestro, ritirando successivamente le accuse; a seguito di questi fatti, con la mediazione di Gamberini il 12 maggio 1975 venne ricostituita una Loggia P2, ufficialmente non “coperta” e con poche decine di affiliati noti che però non risultavano tra gli iscritti del GOI, con Gelli come Maestro Venerabile, e che venne sciolta, su richiesta dello stesso, poco più di un anno dopo, il 26 luglio 1976, anche per la pressione dei media di sinistra e della magistratura (e grazie ad informazioni fatte filtrare dal gruppo dei “massoni democratici” che si opponeva a Gelli all’interno del GOI). Sempre in quel periodo, divennero sempre più frequenti campagne stampa e indagini che accusavano la loggia e la massoneria di essere legate ad avvenimenti criminali, quali i sequestri di persona, e di avere rapporti con ambienti di estrema destra legati all’eversione nera.[senza fonte]
Ufficialmente per il GOI la Loggia P2 era ormai sospesa, ma in pratica questa continuava ad esistere come gruppo gestito direttamente da Gelli, mantenendo comunque rapporti (documentati dalla commissione) con Salvini, Gamberini (che dopo il 1976, nella sua veste di ex Gran Maestro, continuò a celebrare molte iniziazioni per conto della Loggia P2) e gli altri vertici della massoneria.
La commissione Anselmi nella sua relazione parlò a proposito dei rapporti tra Gelli e la massoneria di «rapporti non chiari di reciproca dipendenza, se non di ricatto, che egli instaurò con i Gran Maestri e con i loro collaboratori diretti» e specificando che:
« Ma al di là dei riferimenti testuali e documentali, pur inequivocabili, da inquadrare peraltro nella assoluta disinvoltura con la quale il Grande Oriente gestiva le procedure, quello che va realisticamente considerato è che non appare assolutamente credibile sostenere che l’attività massiccia di proselitismo portata avanti in questi anni dal Gelli – che coinvolgeva alcune centinaia di persone, per lo più di rango e cultura di livello superiore – sia potuta avvenire frodando allo stesso tempo ed in pari misura il Grande Oriente e gli iniziandi. Né appare dignitosamente sostenibile che tutto ciò si sia verificato senza che il primo venisse mai a conoscenza del fenomeno ed i secondi non venissero mai a sospettare della supposta frode perpetrata a loro danno, consistente nell’affiliazione abusiva ad un ente totalmente all’oscuro di tale procedura.
Sembra invece più ragionevole ritenere che la sospensione decretata nel 1976 rappresentò una più sofisticata forma di copertura, alla quale fu giocoforza ricorrere perché Gelli e la sua loggia costituivano un ingombro non più tollerabile per l’istituzione. Si pervenne così al duplice risultato di salvaguardare nella forma la posizione del Grande Oriente, consentendo nel contempo al Gelli di continuare ad operare in una posizione di segretezza che lo poneva al di fuori di ogni controllo proveniente non solo dall’esterno dell’organizzazione ma altresì da elementi interni. A tal proposito si ricordi che non ultimo vantaggio acquisito era quello di avere eliminato dall’organizzazione il gruppo dei cosiddetti “massoni democratici”, avversari di lunga data del Gelli e dei suoi protettori.

Bisogna infatti riconoscere che una spiegazione della Loggia P2, risolta tutta in chiave massonica, non spiega il fenomeno nella sua genesi più profonda e nel suo sorprendente sviluppo successivo. Per rendere esplicita questa affermazione non si può non riconoscere come Licio Gelli appaia, sotto ogni punto di vista, un massone del tutto atipico: egli non si presenta cioè come il naturale ed emblematico esponente di una organizzazione la cui causa ha sposato con convinta adesione, informando le sue azioni, sia pur distorte e censurabili, al fine ultimo della maggior gloria della famiglia; Licio Gelli, in altri termini, non sembra sotto nessun profilo, nella sua contrastata vita massonica, un nuovo Adriano Lemmi, quanto piuttosto un corpo estraneo alla comunione, come iniettato dall’esterno, che con essa stabilisce un rapporto di continua, sorvegliata strumentalizzazione.

Possiamo quindi affermare che tutti gli elementi a nostra disposizione inducono a ritenere come la presenza di Gelli nella comunione di Palazzo Giustiniani appaia come quella di elemento in essa inserito secondo una precisa strategia di infiltrazione, che sembra aver sollevato nel suo momento iniziale non poche perplessità e resistenze nell’organismo ricevente, e che esse vennero superate probabilmente solo grazie all’interessamento dei vertici dell’istituzione i quali, questo è certo, da quel momento in poi appaiono in intrinseco e non usuale rapporto di solidarietà con il nuovo adepto. Questa infiltrazione inoltre fu preordinata e realizzata secondo il fine specifico di portare Licio Gelli direttamente entro la Loggia Propaganda, instaurando un singolare rapporto di identificazione tra il personaggio e l’organismo, il quale ultimo finì per trasformarsi gradualmente in una entità morfologicamente e funzionalmente affatto diversa e nuova, secondo la ricostruzione degli eventi proposta. Quanto detto appare suffragare l’enunciazione dalla quale eravamo partiti, perché il rapporto tra Licio Gelli e la massoneria viene a rovesciarsi in una prospettiva secondo la quale il Venerabile aretino, lungi dal porsi rispetto ad esso in un rapporto di causa ed effetto, come ultimo prodotto di un processo generativo interno di autonomo impulso, assume piuttosto le vesti di elemento indotto, di programmato utilizzatore delle strutture e della immagine pubblicamente conosciuta della comunione, per condurre tramite esse ed al loro riparo quelle operazioni che costituirono l’autentico nucleo di interessi e di attività che la Loggia P2 venne a rappresentare.

Quello che per la Commissione è di primario interesse sottolineare è che la massoneria di Palazzo Giustiniani è venuta a trovarsi, nel seguito della vicenda gelliana, nella duplice veste di complice e vittima, essendone inconsapevole la base e conniventi i vertici. Non v’ha dubbio infatti che la comunione di Palazzo Giustiniani in senso specifico e la massoneria in senso lato abbiano negativamente risentito dell’attenzione, tutta di segno contrario, che su di esse si è venuta a concentrare, ma altrettanto indubbio risulta che l’operazione Gelli, sommatoriamente considerata, abbia in quegli ambienti trovato una sostanziale copertura – per non dire oggettiva complicità – senza la quale essa non avrebbe mai potuto essere, non che realizzata, nemmeno progettata. Quando parliamo di complicità – pur sostanziale che sia – non si vuole peraltro fare riferimento soltanto a quella esplicita dei vertici dell’associazione, peraltro espressione elettiva della base degli associati, ma altresì a quella più generale situazione risolventesi in una pratica di riservatezza, sancita dagli statuti, ma ancor più da una concreta tradizione di radicato costume massonico degli affiliati tutti, che ha costituito l’imprescindibile terreno di coltura per l’innesto dell’operazione. Perché certo è che Licio Gelli non ha inventato la Loggia P2, né per primo ha contrassegnato l’organismo con la caratteristica della segretezza, ed altrettanto certo è che non è stato Gelli ad escogitare la tecnica della copertura, ma l’una e l’altra ha trovato funzionanti e vitali nell’ambito massonico: che poi se ne sia impossessato e ne abbia fatto suo strumento in senso peggiorativo, questo è particolare che ci interessa per comprendere meglio Licio Gelli e non la massoneria. Il discorso sui rapporti tra Gelli e la massoneria è approdato a conclusioni che si ritengono sufficientemente stabilite e tali da consentire, a chi ne abbia interesse, di trarre le proprie conclusioni. La situazione che si delinea al termine del lungo processo sin qui ricostruito è pertanto contrassegnata da due connotati fondamentali:

Gelli ha acquisito nella seconda metà degli anni settanta il controllo completo ed incontrastato della Loggia Propaganda Due, espropriandone il naturale titolare e cioè il Gran Maestro;
la Loggia Propaganda Due non può nemmeno eufemisticamente definirsi riservata e coperta: si tratta ormai di una associazione segreta, tale segretezza sussistendo non solo nei confronti dell’ordinamento generale e della società civile ma altresì rispetto alla organizzazione che ad essa aveva dato vita. »
(relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2[2])
Nel periodo dal 1976 al 1981 la P2 ebbe la massima espansione ed influenza e cominciò ad operare anche all’estero (pare che abbia tentato proselitismo in Uruguay, Brasile, Venezuela, Argentina e in Romania, paesi nei quali avrebbe, secondo alcuni, tentato di influire sulle rispettive situazioni politiche)[3].
Secondo la commissione d’inchiesta, la Loggia P2 e Gelli stesso goderono di «una sorta di cordone sanitario informativo posto dai Servizi a tutela ed a salvaguardia del Gelli e di quanto lo riguarda» a partire dal 1950 (anno in cui venne segnalato ai servizi il rapporto “Cominform”, a cui però non seguirono indagini), che permise al gruppo di agire indisturbato, arrivando alla conclusione che Gelli stesso facesse parte dei servizi segreti:
« Tra le varie spiegazioni possibili di tale costante atteggiamento scartata quella della Inefficienza dei Servizi perché palesemente non proponibile – non rimane altra conclusione che quella di riconoscere che il Gelli è egli stesso persona di appartenenza ai Servizi, poiché solo ricorrendo a tale ipotesi trova logica spiegazione la copertura di questi assicurata al Gelli in modo sia passivo, non assumendo informazioni sull’individuo, sia attivo, non fornendone all’autorità politica che ne fa richiesta. I riscontri forniti e la linea di argomentazione che su di essi abbiamo incentrato, testimoniano in modo chiaro l’esistenza di una barriera protettiva posta dei Servizi a tutela di Gelli e della loggia P2 che scatta puntuale di fronte a qualsiasi autorità politica e giudiziaria, che chieda, nell’esercizio delle sue funzioni, ragguagli e delucidazioni su questi argomenti. Abbiamo individuato la ragione profonda di questo comportamento nell’appartenenza di Licio Gelli all’ambiente dei Servizi segreti, ed abbiamo datato questa milizia al 1950, anno di compilazione dell’informativa COMINFORM. Le conseguenze di tale affermazione sono che la ragione vera del cordone sanitario informativo va cercata non nel presunto controllo che Gelli eserciterebbe nei Servizi segreti, ma nell’opposta ragione del controllo che essi hanno del personaggio. Le conclusioni che abbiamo esposto sono di tenore tale che l’estensore di queste note avverte per primo l’esigenza di procedere con la massima cautela possibile in questa materia, per la quale peraltro, si deve riconoscere, è del tutto illusorio sperare di raggiungere dimostrazioni che poggino su prove inconfutabili. Si è così argomentato sulla base dei documenti proponendo una linea interpretativa che si riconduca a logica e coerenza, pronti a verificare tale assunto con altre possibili ricostruzioni posto che, secondo l’assunto metodologico seguito, consentano di fornire altra spiegazione coerente ed unitaria dei fenomeni. »
(relazione della Commissione Anselmi)
Secondo la commissione, Licio Gelli mantenne fino al primo dopoguerra un atteggiamento ambiguo, che gli permise di legarsi a chiunque avesse avuto le redini del potere in Italia dopo la guerra (fossero i nazifascisti, fossero gli Alleati e i loro gruppi politici di riferimento o fossero i comunisti filosovietici) e il rapporto “Cominform”, che lo denunciava come spia dormiente dei servizi segreti dell’Est (probabilmente posizione frutto di accordi durante questo periodo ambiguo), su cui i servizi non indagarono, sarebbe divenuto una garanzia sulla sua fedeltà che i servizi avrebbero potuto eventualmente usare, denunciandolo come spia filosovietica e distruggendo quindi la sua figura fortemente anti-comunista che era venuta a crearsi nel tempo.
Circa le motivazioni per le quali personaggi tanto affermati avrebbero aderito alla P2, secondo taluni l’abilità di Licio Gelli sarebbe consistita nel sollecitare il diffuso desiderio di mantenere ed accrescere il proprio potere personale; a costoro, l’iscrizione alla loggia sarebbe apparsa di estrema opportunità per raggiungere posizioni di potere di primaria importanza, anche eventualmente partecipando ad azioni coordinate al fine di assicurarsi il controllo sia pure indiretto del governo e di numerose alte istituzioni pubbliche e private italiane.
Secondo altre interpretazioni, la loggia altro non sarebbe stata che un punto di raccordo fra diverse spinte che già prima andavano organizzandosi per influire sugli andamenti politici dello Stato.
Non va dimenticato che proprio in quegli anni montava la strategia della tensione e che da molte parti della società si auspicava una svolta politica di impronta decisa, capace di sopperire alla perniciosa inefficienza sociale, economica e pratica dell’impianto statale.
A posteriori, la Commissione parlamentare d’inchiesta ricostruì che verso la fine degli anni settanta il rapporto fra Gelli ed i suoi amici-alleati statunitensi e dei servizi segreti si sarebbe incrinato, e sarebbero cominciate a circolare sollecitazioni a farsi da parte, inoltrate anche nella suggestiva forma di fornire al giornalista Mino Pecorelli (poi assassinato) il famoso rapporto “Cominform” perché lo pubblicasse ed avanzasse così il sospetto che Gelli agisse per qualche servizio segreto di paesi comunisti.
Gelli reagì rilasciando un’imprevista intervista, nella quale qualcuno ha supposto che abbia inviato messaggi in codice; ma sembra accertato che, poco dopo, un uomo di fiducia di Michele Sindona abbia fornito ai giudici di Milano elementi sufficienti per interessarsi del capo della loggia.
Il 31 ottobre 1981, sette mesi dopo il rinvenimento delle liste e dello scandalo conseguente, la corte centrale del Grande Oriente d’Italia presieduta dal nuovo Gran Maestro Armando Corona, espulse Gelli dal consesso massonico. Per il Grande Oriente d’Italia la “Loggia di Propaganda 2” aveva sospeso ufficialmente la propria attività all’interno del GOI stesso già nel 1976 e pertanto non poteva essere sciolta, essendo già sospesa. Ciò significava che la P2 di Gelli dal 1976 non agiva più all’interno del consenso massonico, ma autonomamente.
[modifica] La scoperta della lista e del programma

Per approfondire, vedi la voce Piano di rinascita democratica.
Il 17 marzo 1981 i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, nell’ambito di una inchiesta sul presunto rapimento dell’avvocato e uomo d’affari siciliano Michele Sindona, fecero perquisire la villa di Gelli ad Arezzo, “Villa Wanda”, e la fabbrica di sua proprietà (la “Giole” a Castiglion Fibocchi presso Arezzo – divisione giovane di “Lebole”); l’operazione, eseguita dalla sezione del colonnello Bianchi della Guardia di Finanza, scoprì fra gli archivi della “Giole” una lista di quasi mille iscritti alla loggia P2, fra i quali il comandante generale dello stesso corpo, Orazio Giannini (tessera n. 832). Lo stesso Michele Sindona comparve nella lista degli iscritti alla P2, confermando le intuizioni dei giudici istruttori.
Il colonnello Bianchi resistette a vari tentativi di intimidazione, in quanto erano ancora al potere gran parte delle persone che ivi erano citate, e pubblicò la lista.
Licio Gelli, per il quale la magistratura spiccò un ordine di cattura il 22 maggio 1981 per violazione dell’art. 257 del codice penale (spionaggio politico o militare – si riteneva che Gelli possedesse copie di alcuni dossier riservati del SIFAR e di altri servizi segreti), si rifugiò temporaneamente in Uruguay.
La commissione parlamentare Anselmi, creata il 9 dicembre 1981, ritenne che la P2 fosse strutturata come due piramidi sovrapposte, con i 972 nomi della lista appartenenti alla piramide in basso, Gelli come punto di congiunzione tra le due piramidi e una piramide superiore composta da nomi che figuravano su un’altra lista composta da personaggi che trasmettevano gli ordini alla piramide inferiore. A detta di alcuni giornalisti, tale lista sarebbe stata portata da Gelli a Montevideo.
Secondo il procuratore di Roma del periodo, gli iscritti delle due liste dovevano essere complessivamente 2000 e in un’intervista rilasciata da Gelli al settimanale L’espresso del 10 luglio 1976 questi affermò che gli iscritti alla Loggia P2 erano allora 2400 (secondo la commissione parlamentare che ebbe modo di leggere alcune corrispondenze tra Gelli e i capigruppo della loggia, intorno al 1979 vi fu una revisione generale degli elenchi degli iscritti, per cui le persone iscritte dopo quella data potevano effettivamente essere in numero minore). Comunque sia, una buona metà dei nomi mancherebbe ancora all’appello ed anche diversi appartenenti alla massoneria ascoltati dalla suddetta commissione affermarono che la lista era veritiera ma incompleta.
Fu immediatamente intuito che i documenti sequestrati testimoniavano dell’esistenza di un’organizzazione che mirava a prendere il possesso delle leve del potere in Italia: il “piano di rinascita democratica”, un elaborato a mezza via fra un manifesto ed uno studio di fattibilità sequestrato qualche mese dopo alla figlia di Gelli, conteneva una sorta di ruolino di marcia per la penetrazione di esponenti della loggia nei settori chiave dello Stato, indicazioni per l’avvio di opere di selezionato proselitismo e, opportunamente, anche un preventivo dei costi per l’acquisizione delle funzioni vitali del potere: «La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi sembra sufficiente a permettere ad uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo».
A chiare lettere si indicavano come fini primari (il termine “obiettivi” è usato in quel testo in senso militare, per “bersagli” di blandizie) il riordino dello stato in senso istituzionalistico, il ripristino di un’impostazione selettiva (forse classista) dei percorsi sociali, insomma – secondo molti – una svolta autoritaria.
Ma i dettagli del programma non erano di minor interesse. Se da un lato si propugnava la «abolizione della validità legale dei titoli di studio (per sfollare le università e dare il tempo di elaborare una seria riforma della scuola che attuasse i precetti della Costituzione)», giustificata dalla carenza di tecnici in tempi di disoccupazione intellettuale, dall’altro lato occorreva «ripulire il paese dai teppisti ordinari e pseudo politici e dalle relative centrali direttive», sempre che la magistratura volesse decidersi a condannarli.
Portare il Consiglio Superiore della Magistratura sotto il controllo dell’esecutivo, separare le carriere dei magistrati, rompere l’unità sindacale e abolire il monopolio della Rai erano altri punti del progetto.
Le persone “da reclutare” nei partiti, dal canto loro, dovevano ottenere addirittura il “predominio” (testuale) sulle proprie organizzazioni (nel piano vengono indicati «per il PSI, ad esempio, Mancini, Mariani e Craxi; per il PRI: Visentini e Bandiera; per il PSDI: Orlandi e Amidei; per la DC: Andreotti, Piccoli, Forlani, Gullotti e Bisaglia; per il PLI: Cottone e Quilleri; per la Destra Nazionale (eventualmente): Covelli»), mentre i giornalisti “reclutati” avrebbero dovuto “simpatizzare” per gli uomini segnalati dalla “loggia”. Non si sa se questa parte del piano fosse già stata attuata o meno; una parte dei politici indicati ebbero poi ruoli di primo piano nei loro partiti e nel governo. Si deve però rammentare che questi nomi erano considerati solo “da reclutare”, quindi non si sa se furono mai contattati a tale scopo da Gelli.
Il programma non era in realtà che una sorta di memorandum che preannunciava una serie di pressioni e di azioni che avrebbero mirato a conquistare il potere per conferirlo a fidati amici della loggia. Alcuni analisti odierni non mancano di rimarcare che molti degli argomenti trattati in quel programma sarebbero stati poi attuati da governi successivi, o perlomeno indicati come riforme prioritarie ed essenziali da parte di alcuni esponenti politici allora appartenenti ai partiti con cui la P2 aveva cercato contatti (o partiti eredi politici di questi).
Nonostante l’Italia fosse da secoli avvezza alla disinvoltura ed alla spregiudicatezza in politica, tanto da vantarne anche celeberrima letteratura specifica, la sensazione generale fu correttamente definita da molti interpreti del tempo come di “attonito sgomento”.
Lo scandalo che seguì la scoperta della lista e dei suoi legami con i casi Sindona e Calvi ebbe al tempo un’amplissima copertura mediatica, paragonabile solo a quella che avrà 10 anni dopo Tangentopoli.
[modifica] Le mani sui mass media

« Il vero potere risiede nelle mani dei detentori dei mass media[4] »
(Licio Gelli)
La scoperta del Piano di rinascita democratica ha permesso di comprendere le ragioni dei notevoli cambiamenti avvenuti all’interno dei mass media italiani alla fine degli anni ’70.
La scalata ai media italiani iniziò dall’obiettivo più ambito: il Corriere della Sera, il quotidiano nazionale più diffuso e allo stesso tempo più autorevole. Per questa operazione Licio Gelli fu coadiuvato dal suo braccio destro Umberto Ortolani, dal banchiere Roberto Calvi, dall’imprenditore Eugenio Cefis e dalle casse dello IOR, l’Istituto per le Opere di Religione. Infine era necessario un editore interessato all’acquisto della testata giornalistica più importante d’Italia, e furono individuati i Rizzoli[5].
I Rizzoli, sostenuti finanziariamente da Eugenio Cefis[6], nel 1974 si decisero quindi per l’acquisto, ma si resero conto ben presto che l’operazione si sarebbe rivelata molto più onerosa di quello che si aspettavano. I Rizzoli (Andrea e il figlio Angelone) quindi si misero alla ricerca di altri fondi presso le banche italiane, inconsapevoli del fatto che molte erano presiedute o dirette da affiliati della P2, e che quindi la decisione di conceder loro nuovi liquidi era condizionata dal parere di Gelli. Non vedendo altre vie di uscita, nel luglio del 1977 si appellarono al Maestro Venerabile: questi concesse nuovi fondi, provenienti dallo IOR, così da rendere i Rizzoli sempre più indebitati nei confronti della loggia ed economicamente deboli. In questo modo non fu difficile far passare il controllo della casa editrice al sistema Gelli-Calvi-IOR[7].
Gelli quindi ottenne il suo primo obiettivo: inserire nei posti chiave della Rizzoli i suoi uomini, uno su tutti Franco Di Bella alla direzione del Corriere della Sera al posto di Piero Ottone[8]. Il controllo del quotidiano dava alla P2 un’enorme capacità di manovra:
poteva condizionare ai propri voleri la condotta dei politici, ai quali l’adesione all’area piduista era ripagata con articoli e interviste compiacenti che garantivano visibilità presso l’opinione pubblica;
poteva inserire nell’organico del quotidiano personaggi affiliati alla loggia, come Maurizio Costanzo, Silvio Berlusconi, Fabrizio Trecca, con l’ovvio intento di pubblicare articoli graditi alle alte sfere della P2;
poteva infine censurare giornalisti, come capitò a Enzo Biagi, che sarebbe dovuto partire come corrispondente per l’Argentina, governata da una giunta militare golpista.[9]
Nel 1977 la P2 spinse i Rizzoli verso l’acquisizione di molti altri quotidiani: Il Piccolo di Trieste, Il Giornale di Sicilia di Palermo, l’Alto Adige di Bolzano e La Gazzetta dello Sport. Nel 1978 venne fondato un nuovo quotidiano locale: L’Eco di Padova, e la casa editrice entrò nella proprietà de Il Lavoro di Genova e finanziò L’Adige di Trento. Nello stesso anno Andrea lasciò il gruppo al figlio Angelone e si ritirò a vita privata.
Nel 1979 la Rizzoli portò la propria quota azionaria del periodico TV Sorrisi e Canzoni al 52%, ottenendone il controllo. Infine venne fondato L’Occhio, con direttore Maurizio Costanzo[10].
Secondo il piduista Antonio Buono, magistrato già presidente del tribunale di Forlì, e collaboratore de il Giornale, nel corso di un incontro a Cesena Gelli lo avrebbe informato del progetto di creare una catena di testate, nell’ambito della Rizzoli, in funzione antimarxista e anticomunista, e si sarebbe dovuta creare anche, nell’ambito di questo progetto, un’agenzia di informazione – alternativa all’ANSA – che avrebbe trasmesso le veline ai vari direttori di questi giornali associati. Nell’occasione, il Venerabile incaricò Buono di coinvolgere il direttore de il Giornale: «Avevo un grande ascendente su Indro Montanelli, e quindi avrei dovuto persuadere Montanelli, per il Giornale, a entrare».[9]
Nonostante il tentativo non riuscisse[11], almeno due personaggi in contatto con gli ambienti massonici diventarono collaboratori del Giornale: lo stesso Buono e Michael Ledeen, legato a CIA, SISMI e alla stessa P2[12].
Una volta scoppiato lo scandalo, le ripercussioni sul gruppo Rizzoli furono enormi: il Corriere della Sera ne uscì pesantemente screditato e perse dal 1981 al 1983 100.000 copie; firme come Enzo Biagi, Alberto Ronchey e Gaetano Scardocchia lasciarono via Solferino. Franco Di Bella lasciò la direzione il 13 giugno e venne sostituito da Alberto Cavallari. L’Occhio e il Corriere d’Informazione vennero chiusi, Il Piccolo, l’Alto Adige e Il Lavoro ceduti.
Angelone Rizzoli e il direttore generale della casa editrice, Bruno Tassan Din (entrambi iscritti alla Loggia), ricevettero un mandato d’arresto, il gruppo fu messo in amministrazione controllata (4 febbraio 1983).
[modifica] La lista

Per approfondire, vedi la voce Lista degli appartenenti alla P2.
La lista degli appartenenti alla P2 fu tenuta riservata per qualche tempo dopo la scoperta, ed i tentennamenti di Arnaldo Forlani nel renderla pubblica gli costarono la carica di presidente del consiglio e il temporaneo allontanamento dal proscenio politico-istituzionale.

Ricevuta di pagamento per l’iscrizione del dott. Silvio Berlusconi alla loggia massonica P2
Una volta resa pubblica il 21 maggio 1981, divenne presto memorabile. Tra i 932 iscritti (molti dei quali negheranno il loro coinvolgimento nella loggia), spiccavano i nomi di 44 parlamentari, 3 ministri del governo allora in carica, un segretario di partito, 12 generali dei Carabinieri, 5 generali della Guardia di Finanza, 22 generali dell’esercito italiano, 4 dell’aeronautica militare, 8 ammiragli, vari magistrati e funzionari pubblici, ma anche di giornalisti, personaggi legati al mondo dello spettacolo ed imprenditori come Silvio Berlusconi (a quel tempo non ancora in politica), Vittorio Emanuele di Savoia, Maurizio Costanzo, Alighiero Noschese (morto suicida più di due anni prima della scoperta della lista) e Claudio Villa; in compagnia di Michele Sindona e Roberto Calvi, Umberto Ortolani e Leonardo Di Donna (presidente dell’ENI), Duilio Poggiolini e il personaggio televisivo professor Fabrizio Trecca, insieme a tutti i capi dei servizi segreti italiani e ai loro principali collaboratori.
Fra i generali, la stampa fece più volte il nome di Carlo Alberto Dalla Chiesa, sebbene risultasse solo un modulo di iscrizione firmato di suo pugno e nessuna prova di un’adesione attiva.
Circa i servizi segreti, si notò che vi erano iscritti non solo i capi, (fra i quali Vito Miceli a capo del SIOS e successivamente direttore del SID, Giuseppe Santovito del SISMI, Walter Pelosi del CESIS e Giulio Grassini del SISDE) che erano di nomina politica, ma anche i funzionari più importanti, di consolidata carriera interna. Fra questi si facevano notare il generale Giovanni Allavena (responsabile dei famigerati “fascicoli” del SIFAR), il colonnello Minerva (gestore fra l’altro dell’intricato caso dell’aereo militare “Argo 16” e considerato uno degli uomini in assoluto più importanti dell’intero Servizio militare del dopoguerra) ed il generale Gian Adelio Maletti, che con il capitano Antonio La Bruna (anch’egli iscritto) fu sospettato di collusioni con le cellule eversive di Franco Freda e per questo processato e condannato per favoreggiamento.
La naturale funzione dei servizi segreti, va osservato, sarebbe effettivamente ben compatibile con la possibile infiltrazione di elementi anche in questa organizzazione, per legittimi motivi di servizio; la concentrazione però di così tanti elementi di elevato grado, non è mai riuscita a volare indenne sopra il sospetto.
Lo stesso Gelli, commentando la presenza di numerosi iscritti alla P2 nei comitati di esperti che si occuparono del rapimento di Aldo Moro (marzo-maggio 1978), ha affermato che la presenza di un elevato numero di affiliati alla loggia in questi era dovuto al fatto che al tempo molte personalità di primo piano erano iscritte, quindi era naturale che in questi se ne trovassero diverse. Gelli affermò che normalmente gli aderenti non erano a conoscenza dell’identità degli altri iscritti, ma che l’esistenza della loggia P2 era comunque nota, avendone parlato anche in diverse interviste ben prima della scoperta della lista.[13]
Fu avanzata l’ipotesi che la lista trovata a Villa Wanda non fosse la lista completa, e che molti altri nomi siano riusciti a non restare coinvolti. Nella ricostruzione della Commissione d’Inchiesta, ai circa mille della lista trovata sarebbero da aggiungere i presunti appartenenti a quel vertice occulto di cui Gelli sarebbe stato l’anello di congiunzione con la loggia. Lo stesso Gelli, come evidenziato anche dalla commissione Anselmi, in un’intervista del 1976, aveva parlato di più di duemilaquattrocento iscritti.
Circa il vertice occulto, poi, è nota la clamorosa accusa formulata dalla vedova di Roberto Calvi, che indicò in Giulio Andreotti il “vero padrone” della loggia, ma di tale affermazione non sono mai stati raccolti riscontri attendibili. È bensì vero che Andreotti aveva sempre smentito di conoscere Gelli, sino alla pubblicazione della citata foto di Buenos Aires.
[modifica] La bufera politica

Lo scandalo conseguente al ritrovamento delle liste della P2 fu senza precedenti.
Il presidente del consiglio in carica, Arnaldo Forlani, fu costretto alle dimissioni nel giugno 1981 perché, più o meno volontariamente, aveva ritardato la conferma del ritrovamento e la pubblicazione delle liste. Al suo posto fu insediato il repubblicano Giovanni Spadolini, che divenne così il primo presidente del consiglio non appartenente alla Democrazia Cristiana della storia repubblicana.
Dalle sinistre si era prontamente levata una intensa campagna d’accusa, che di fatto non sgradiva un eventuale riconoscimento del coinvolgimento di esponenti dei partiti di governo e del PSI, antica “concorrente” a sinistra del partito di Enrico Berlinguer. Soprattutto i comunisti avevano da recriminare contro un organismo che clandestinamente lavorava per la loro espulsione dalla società civile, e non risparmiarono ai partiti di governo ed ai loro esponenti accuse di golpismo e di prono asservimento ad interessi di potenze straniere.
Altri politici, tra cui Bettino Craxi del PSI e alcuni deputati della DC, attaccarono invece l’operato della magistratura, accusandola di aver dato per scontato la veridicità di tutta la lista che invece, secondo Craxi, mischiava “notori farabutti” (di cui però non faceva i nomi) a “galantuomini” e di aver causato, con le indagini e l’arresto di Roberto Calvi, una crisi della Borsa, che nel luglio 1981 dovette chiudere per una settimana per eccesso di ribasso.
Mentre, intimoriti dal clima arroventato, alcuni personaggi di altro campo come Maurizio Costanzo negavano ogni coinvolgimento (Costanzo fu poi costretto a lasciare la direzione del telegiornale Contatto del network PIN, facente capo al gruppo Rizzoli), altri come Roberto Gervaso erano rimasti a corto di adeguati aforismi oppure, come il deputato socialista Enrico Manca, che fu anche presidente della RAI, già minimizzavano la loro condivisione delle esperienze piduiste.
Si ebbe quindi una sorta di temporanea epurazione, in realtà agevolata dal ridotto desiderio degli interessati di restare sotto i riflettori, e molti piduisti si eclissarono dalle cariche più in vista, o si fecero da parte per poi ripresentarsi qualche tempo dopo.
[modifica] La Commissione parlamentare

Negli anni successivi fu istituita, per volontà del Presidente della Camera Nilde Iotti, una commissione parlamentare d’inchiesta, guidata dalla deputata democristiana Tina Anselmi, ex partigiana “bianca” e prima donna a diventare ministro nella storia della Repubblica Italiana. La commissione affrontò un lungo lavoro di analisi per far luce sulla Loggia, considerata un punto di riferimento in Italia per ambienti dei servizi segreti americani intenzionati a tenere sotto controllo la vita politica italiana fino al punto, se necessario, di promuovere riforme costituzionali apposite o di organizzare un colpo di stato. Diede luogo ad una relazione di maggioranza ed una di minoranza. La prima, molto più articolata, mette in luce molti aspetti, quindi ad esempio:
giudicò la lista attendibile ma presumibilmente incompleta;
giudicò la Loggia «responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale» della Strage dell’Italicus;
giudicò la Loggia «un complotto permanente che si plasma in funzione dell’evoluzione della situazione politica ufficiale»;
sottolineò l’«uso privato della funzione pubblica da parte di alcuni apparati dello stato» legati alla Loggia;
sottolineò la divisione funzionale della Loggia e quindi che, benché tutti gli affiliati fossero consapevoli del fine surrettizio della Loggia, fosse necessario individuare il settore di appartenenza dei singoli affiliati per risalire alle responsabilità personali;
sottolineò che la presenza di alcuni imprenditori si poteva spiegare con i benefici economici che il legame con alti dirigenti di imprese pubbliche e banche poteva potenzialmente portare loro, per esempio sotto forma di credito concesso in misura superiore a quanto consentito dalle caratteristiche dell’impresa da finanziare;
sottolineò come ci fossero «poche ma inequivocabili prove documentali» che provavano l’esistenza della Loggia di Montecarlo (ora Massonic Executive Committee) e della più elitaria P1, considerandole entrambe creazioni di Licio Gelli.
Un’apposita legge, la numero 17 del 25 gennaio 1982, sciolse la P2 e rese illegale il funzionamento di associazioni segrete con analoghe finalità, del resto in attuazione del secondo comma dell’articolo 18 della Costituzione Italiana, che più genericamente proibisce le associazioni a scopi, anche indirettamente, politici mediante organizzazioni di carattere militare. Il giornalista e politico Massimo Teodori membro della succitata commissione, asserì: «la Loggia P2 non è stata un’organizzazione per delinquere esterna ai partiti ma interna alla classe dirigente. La posta in gioco per la P2 è stata il potere e il suo esercizio illegittimo e occulto con l’uso di ricatti, di rapine su larga scala, di attività eversive e di giganteschi imbrogli finanziari fino al ricorso alla eliminazione fisica»[14]. La P2 fu oggetto d’indagine anche della Commissione Stragi per un presunto coinvolgimento in alcune stragi, ma non portò a niente di rilevante. Tuttavia Licio Gelli venne condannato il 23 novembre 1995 in via definitiva per tentativi di depistaggio delle indagini sulla Strage di Bologna.
[modifica] L’Italia dopo la scoperta della P2

« Io non ho mai fatto parte della P2. E comunque, stando alle sentenze dei tribunali della Repubblica, essere piduista non è un titolo di demerito. (…) Ho letto dopo, di questi progetti. Una montatura: la P2 è stata uno scoop che ha fatto la fortuna di Repubblica e dell’ Espresso, è stata una strumentalizzazione che purtroppo ha distrutto molti protagonisti della vita politica, culturale e giornalistica del nostro Paese.[15] »
(Silvio Berlusconi)
« Essere stato piduista vuol dire aver partecipato a un’organizzazione, a una setta segreta che tramava contro lo Stato, e questo è stato sancito dal Parlamento. Opinione che io condivido[16] »
(Massimo D’Alema)
Nonostante le successive inchieste giudiziarie abbiano (non senza ricevere critiche da più parti) in parte rinnegato le conclusioni della commissione di inchiesta, tendendo a ridimensionare l’influenza della loggia[17], la scoperta del caso della P2 fece conoscere in Italia l’esistenza, in altri sistemi ed in altri Paesi, del lobbismo, cioè di un’azione di pressione politica sulle cariche detenenti il potere affinché orienti le scelte di conduzione della nazione di appartenenza in direzione favorevole ai lobbisti.
In altri Paesi il lobbismo si applicava e si applica in modo pressoché palese, e nemmeno – d’ordinario – desta scandalo; per l’Italia il fenomeno, almeno in questa forma subdola, illegale e sovversiva e con questa evidenza, era inusitato. In più, la circostanza che l’associazione fosse segreta ha immediatamente evocato allarmanti spettri, che le conclusioni dell’inchiesta della commissione parlamentare non hanno fugato.
Il caso P2 ha certamente sensibilizzato la società italiana sui meccanismi attraverso i quali le scelte ed il potere politico possono venir influenzati dagli interessi di gruppi di potere non eletti, e quindi non pienamente legittimati a prender parte al dialogo politico.
Altrettanta attenzione è stata posta, nel tempo, al destino dei piduisti, qualcuno dei quali ha avuto pubblico successo, in politica o nello spettacolo, mentre altri sono tornati nell’anonimato; ad alcuni è stato revocato lo stigma sociale (Silvio Berlusconi è sceso in politica con successo, con quattro legislature come Presidente del Consiglio nel corso di quindici anni, Fabrizio Cicchitto rientrò in politica, Maurizio Costanzo pronunciò un autodafé e mantenne la sua carriera giornalistica).
Tra i personaggi politici menzionati nel famoso “programma di rinascita” elaborato per la P2 da Francesco Cosentino, Bettino Craxi confermò la previsione per cui avrebbe assunto il “predominio” nel suo partito e nel governo del Paese (anche grazie all’appoggio degli USA, che finanziarono il suo partito in chiave anti-PCI, come scriverà poco prima di morire nel suo memoriale consegnato al cognato Paolo Pillitteri, ex sindaco di Milano). Ad Antonio Bisaglia, invece, la morte improvvisa non consentì di soddisfare le previsioni su di lui espresse nel medesimo testo.
Dal 2007 Licio Gelli fu posto in detenzione domiciliare nella sua Villa Wanda di Arezzo, per scontare la pena di 12 anni per la bancarotta del Banco Ambrosiano. In un’intervista rilasciata a la Repubblica il 28 settembre 2003, durante il Governo Berlusconi II, ha raccontato: «Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d’autore. La giustizia, la tv, l’ordine pubblico. Ho scritto tutto trent’anni fa in 53 punti».[18]
[modifica] Dettagli sulla lista

Per approfondire, vedi la voce Lista degli appartenenti alla P2.
È da notare il capillare radicamento della struttura P2 nel territorio italiano con 2 o 3 iscritti per 35 delle attuali 110 province italiane: Torino, Milano, La Spezia, Roma, Bari, Ravenna, Firenze, Pistoia, Cosenza, Palermo, Cagliari, Siena, Brescia, Ancona, Venezia, Catanzaro, Genova, L’Aquila, Trieste, Potenza, Novara, Arezzo, Bologna, Piacenza, Udine, Messina, Pisa, Reggio Emilia, Reggio Calabria, Forlì e Cesena, Savona, Brindisi, Trapani, Perugia, Teramo.
A conferma del radicamento nel territorio la presenza in 16 delle 20 regioni italiane: Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Liguria, Toscana, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia, Sardegna, Umbria.
[modifica] Elenco per categorie lavorative degli iscritti
Militari e forze dell’ordine: 208
Uomini politici: 67
Dirigenti ministeriali: 52
Banche: 49
Industriali: 47
Medici: 38
Docenti universitari: 36
Commercialisti: 28
Avvocati: 27
Giornalisti: 27
Dirigenti industriali: 23
Imprenditori: 18
Magistrati: 18
Liberi professionisti: 17
Attività varie: 12
Società private (presidenti): 12
Società pubbliche (dirigenti): 12
Segretari particolari (politici): 11
Associazioni varie: 10
Dirigenti RAI: 10
Enti assistenziali e ospedalieri: 10
Diplomatici: 9
Compagnie aeree: 8
Dirigenti comunali: 8
Società pubbliche (presidenti): 8
Architetti: 7
Funzionari regionali: 7
Antiquari: 6
Compagnie di assicurazione: 6
Dirigenti editoriali: 6
Alberghi (direttori): 4
Consulenti finanziari: 4
Editori: 4
Notai: 4
Scrittori: 3
Provveditori agli studi: 2
Sindacalisti: 2
Commercianti: 1

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